lunedì 28 gennaio 2013

la chiave di Sara




La memoria ... invecchiando sembra assumere connotati magici, almeno per me, la memoria mi permette di ricreare situazioni assolutamente individuali, personali, vissute solo da me e rivisitate centinaia di volte nei pensieri che precedono i risvegli, nei sogni, nei rimpianti.
Uno dei motivi che mi spinge a scrivere è che attraverso i miei romanzi rivivo situazioni personali, riesco a umanizzarle, a renderle migliori e le regalo all'ignaro lettore che in parte condivide un pezzo dei miei tormentati dormiveglia.

Non credo nelle commemorazioni, o almeno non credo in quelle collettive. La giornata della memoria penso sia un evento talmente straordinario e grave da dissipare qualsiasi dubbio.

Però quando sono andato a Cracovia nei campi di concentramento di Auschwitz ho cercato tutto il tempo, con fatica e in parte inutilmente, la dimensione individuale della tragedia, perché secondo me è solo personalizzando il fenomeno che si riesce a riviverlo con la massima partecipazione possibile.
In un certo senso è l'operazione opposta di quella dei nazisti. Loro, i tedeschi, e non dimentichiamolo mai, l'orrore è iniziato in Germania, dicevo i tedeschi gli attuali padroni del mondo economico, volevano la spersonalizzazione delle loro vittime, prima dovevano uccidere l'individuo nella sua anima, poi nel corpo.
Quando l'anima si spezza il corpo la segue velocissima.

La chiave di Sara invece realizza ciò che ritengo più opportuno per la mia memoria, mi fa rivivere la tragedia da una prospettiva diversa, partendo dalle porcate che in questo caso furono perpetrate dai francesi nei confronti dei loro ebrei, e lo fa raccontandoci la particolarissima tragedia della piccola Sarah e della sua famiglia deportata e polverizzata.

E' un bel film, non è sensazionalistico, non sfrutta immagini apocalittiche e ci fa entrare dentro una storia personale caratterizzando con dolcezza il bellissimo personaggio di questa piccola ragazzina, del suo coraggio, della sua determinazione, del suo amore per il fratello, per la sua famiglia, del tenace attaccamento alla vita, alla vita di coloro che ama, prima di tutto e l' inevitabile consapevolezza del fatto che da certi dolori, da certi lutti, non se ne esce mai, o se ne esce morendo.

La storia dell'olocausto è storia collettiva, ci siamo dentro tutti.  Tutti siamo colpevoli o vittime un po' come con il peccato originale, ma quello fa ridere, questo fa paura.
E' attraverso le singole storie che si arriva alla consapevolezza, ed è per questo che scrivo storie, per cercare di trovare attraverso i miei personaggi un senso, anche se spesso, come canta Vasco, quello è perduto per sempre, rinchiuso in un armadio di una palazzina di Parigi ... un armadio senza chiave. 

Nessun commento: