Le ho viste tutte le stagioni di Walking Dead, metafora del nostro tempo dove alla fine del tunnel inizia un nuovo tunnel, l'orrore quotidiano diventa il metro per misurare il mondo e il senso della vita perde di significato.
Se ci pensate un istante ci sono luoghi altrettanto tenebrosi dove esci di casa e rischi di saltare in aria in un mercato o in un aeroporto, ci sono luoghi del mondo dove muori ancora per una malattia infettiva o per fame, mentre da questa parte dell'emisfero ogni giorno buttiamo generi alimentari nelle discariche.
Walking Dead è la trasfigurazione del orrore quotidiano e mi piaceva l'alternarsi di azione e riflessione, la caratterizzazione dei personaggi, l'evoluzione del gruppo originario.
Nel tempo ho imparato ad amare i protagonisti, dal leader, al figlio, a tutti i componenti del gruppo, accettando la scomparsa di alcuni personaggi come la normale evoluzione di qualsiasi fiction di lunga durata.
La nuova stagione, la settima, inizia con un ritmo diverso, preannunciato ma più cruento del previsto.
Non svelo nulla se non il fastidio per i primi venti minuti e vi assicuro io non sono un cuore tenero, però credo si imponga una riflessione.
La violenza, l'ostentazione della crudeltà, l'annullamento di personaggi ai quali eravamo abituati, mi fa pensare al tentativo di dare nuova energia a una serie che ha superato da molto il suo limite temporale di vita.
Credo sia stata fatta la scelta di continuare per il grande seguito di pubblico perdendo nel frattempo una parte della sua essenza, quella più intimista e riflessiva, che permetteva alla parte di spettatori meno orientati all'azione pura di gustare le citazioni e le metafore del vivere moderno.
Credo quindi che una parte, magari minima di spettatori, abbandonerà la visione per eccesso di sangue e violenza.
Per ora continuerò a fare il tifo per lo sparuto gruppo di disperati in cerca di una ragione per continuare a lottare, perché nella finzione come nella realtà guai se muore la speranza.