Il primo pensiero è stato per lui, 35 anni, una faccia da italiano buono, uno dei tanti carabinieri che ho conosciuto lavorando per strada, spesso insieme a loro, per un controllo straordinario del territorio, o in Piazza Verdi, o durante uno sgombero, uniti in un servizio deciso da altri, e in quei casi si parla, ci si confronta sui rischi, ma anche sulle cose della vita, un matrimonio, il mutuo da pagare, i figli...
E Mario avrebbe potuto essere figlio mio, sposato da poco, una vita davanti, un lavoro del quale andare orgogliosi al punto da sposarsi in divisa.
Non è morto in un conflitto a fuoco con pericolosi latitanti, è stato ucciso da un qualsiasi balordo che aveva rubato una borsa dalla quale pensava di ricavare 100 euro per la sua restituzione.
Il secondo pensiero è andato ai miei colleghi più giovani, quelli che tutte le settimane arrestano balordi della stessa risma, ladri di polli, spacciatori spesso tossicodipendenti, ladri di biciclette che nel novanta per cento dei casi non vanno nemmeno in galera, ma al massimo subiscono un obbligo di firma, un divieto di dimora, perché il furto è considerato un reato minore nel nostro paese garantista.
Ma le otto coltellate necessarie a spegnere le speranze esistenziali di Mario e dei suoi familiari non sono un reato minore, sono state inferte con l'intento di uccidere per non rischiare la direttissima, o magari perché era fatto di qualche sostanza, gente che non ha nulla da perdere e che nel nostro paese rischia pochissimo, non puoi toccarli, non puoi difenderti, se li arresti devi subire l'umiliazione di vederli quasi sempre andare liberi a fare danni altrove.
Tutte le divise sono a rischio in questo paese che talvolta rasenta il ridicolo, specie quando antepone i carnefici alle vittime.
Puoi morire per un arresto banale, per un controllo, per un qualsiasi servizio uno dei tanti che la Polizia Locale svolge regolarmente con i tanti arresti effettuati per reati simili.
Penso ai colleghi che davvero potrebbero essere figli miei, giovani, motivati, orgogliosi di indossare la nostra divisa e contenti quando il cittadino ringrazia per l'arresto del ladro di turno, dello spacciatore che vende morte. Inutile cercare di scoraggiarli, hanno l'entusiasmo della giovinezza e il desiderio di sentirsi valorizzati compiendo il proprio dovere, ''per servire e proteggere'', come dicono in America... anche se questo vuol dire rischiare la vita o la salute, come successo ieri ai colleghi di Genova, circondati e fatti oggetto di lanci di bottiglie da un branco di delinquenti stranieri che tentavano di far fuggire un pusher appena arrestato.
Noi lo facciamo il nostro dovere, nessuna divisa esclusa, 365 giorni l'anno, 24 ore su 24.
Adesso tocca alla Stato fare il suo, siamo stanchi di piangere i nostri morti mentre chi uccide continua a farla franca.
Un abbraccio ai colleghi dell'Arma e alla famiglia di Mario Cerciello Rega, uno di noi.
Nessuno deve restare indietro.
Massimo Fagnoni delegato SULPL Bologna