"Noi abbiamo un secchio qua, proprio in testa pieno di parole, dove c'è tutto quello che ci serve, tu prima tiri una parola, poi ne tiri un'altra, e così scriviamo un libro".
Non ho letto la trilogia della Ferrante, ma lo sceneggiato è davvero intenso grazie anche alla interpretazione mirabile delle due fanciulle e a una sceneggiatura scolpita con quella lingua napoletana che valorizza l'opera relegando sullo sfondo il romanzo stesso.
Due riflessioni.
Quell'Italia marginale, periferica, malconcia, ignorante, disperata, faceva emergere il genio di persone che nonostante la miseria avevano un talento naturale ereditato da qualche gene casuale o dal destino, e forse il discorso della maestra sulla plebe, oggi assume un valore diverso.
- "Lo sai cos'è la plebe, Greco?" "Sì: la plebe, i tribuni della plebe, i Gracchi". "La plebe è una cosa assai brutta". "Sì". "E se uno vuole restare plebe, lui, i suoi figli, i figli dei suoi figli, non si merita niente. Lascia perdere Cerullo e pensa a te".
In quegli anni la scuola, la cultura, erano parole tanto effimere quanto irrilevanti.
I figli dovevano contribuire da subito al magro bilancio familiare, si parlava di sopravvivenza in famiglie numerose in un'Italia che ancora cercava di risollevarsi dallo strazio della guerra.
Oggi invece non ci sono giustificazioni, siamo nell'era dei rapper che incitano al consumo di stupefacenti, dove anche la musica esprime la pochezza di un universo giovanile obnubilato da una totale assenza di interessi, dove l'unica cosa che conta è la soddisfazione dei bisogni immediati, la realizzazione del tutto subito dove il tutto passa attraverso la rete con i suoi like, la sua pornografia accessibile, l'apparire a tutti i costi.
Nell'amica geniale emerge la vera lotta per fare trionfare il genio sopra la massa nonostante la miseria e l'emarginazione, oggi il genio, che avrebbe tutte le possibilità di emergere, non è più una priorità per nessuno, soprattutto per i giovani.
Seconda riflessione.
La creatività.
Forse anch'io, che provengo da una famiglia operaia che ogni mese doveva fare i conti con stipendi miseri, sono cresciuto nella convinzione che solo un colpo di bacchetta magica poteva cambiare la mia condizione, forse quando ho iniziato a scrivere pensavo, come la protagonista, che era sufficiente infilare le mani in quel secchio ed estrarre parole per poi trasformarle in un libro e diventare così ricchi, ancora prima che famosi.
Oggi so che non è così.
Oggi scrivo per altri motivi, la scrittura creativa non dà la felicità e nemmeno la ricchezza, e la fama o i like servono solo a chi non sa bastare a se stesso.
Rimane quel gioco del secchio, quella strana magia che mi astrae da un quotidiano lavorativo ripetitivo, da un mondo terribile nella sua crudele indifferenza, rimane la possibilità di inventare mondi altrove dove perdersi, meglio dei video games che continuo a fare, perché quei mondi sono io ad inventarli.
Quel secchio diventa una pentola magica piena di monete d'oro zecchino e la gratificazione inizia e finisce nel processo creativo, chissà se la ragazzina alla fine l'avrà capito.