Belva di città, ultimo lavoro edito di Massimo Fagnoni, è un lungo racconto dai risvolti fortemente psicologici. In questo noir si apprezza il lavoro dell’autore, cesellatore che con mano sapiente lavora col suo bulino la psiche dei personaggi che racconta.
Uno dei protagonisti, il maresciallo dei carabinieri Greco, nostra vecchia conoscenza, è un personaggio alla Serpico, almeno esteriormente. Dell’altro personaggio forte, Alex, dirò in seguito per determinare invece subito l’ambientazione del romanzo.
L’azione si svolge a Bologna e nel suo immediato hinterland. Che dire ancora di questa Bologna apparentemente allegra e buontempona ma lacerata da profonde ferite esistenziali? Non voglio dire che si riscontrino in Bologna problematiche esclusive, assenti da altre città italiane. Però a Bologna, serena e paciosa nell’immaginario collettivo, i fatti ivi narrati sorprendono e sembrano fuori luogo.
L’autore, in questo racconto, mescola con maestria un forbito linguaggio letterario con espressioni e frasi gergali. Slang di quei piccoli personaggi che brulicano attorno ai protagonisti, immersi in un mondo spesso violento ma anche godereccio dove i profumi e i sapori prevalgono; il mondo dei forni notturni e delle trattorie periferiche presso cui proletari, eversivi, militari, discotecari, facinorosi, convergono per dare piccole soddisfazioni al loro sbiadito quotidiano.
Ed eccoci ad Alex. E’ l’altro protagonista che richiama alla mente con forza un altro personaggio: Silas, il frate massone albino di Dan Brown nel Codice da Vinci. Silas e Alex a confronto. Entrambi dispongono di un appartamento lussuoso e centrale. L’uno dedito al cilicio e alla penitenza; l’altro, di formazione epicurea, gode dei benefici che la ricchezza gli concede. Entrambi hanno una loro fede, una propria religione cui si sono votati incondizionatamente. Silas serve, o crede di servire la causa del Signore e, in suo nome uccide; Alex serve la causa di un principio naturale di gerarchia sancita dalla forza sia fisica che mentale e, anch’egli, uccide e imperversa sui deboli. Ecco, tutto questo troviamo nel romanzo e posso dire che esso mi sorprende per altre tre considerazioni.
Prima fra tutte: a volte, più che effettuare la traslazione dei pensieri dei protagonisti, si ha l’impressione che l’autore ne faccia una profonda analisi psicologica e forse anche psichiatrica. La seconda considerazione riguarda la buona conoscenza delle arti marziali. La terza, la più importante, è al tempo stesso una conclusione; con questo lavoro l’autore ha spiccato un balzo: partendo dai precedenti scritti che risentono molto della cronaca, è atterrato nel campo del romanzo di largo respiro, nel quale la cronaca è un puro pretesto per raccontare l’uomo, la sua anima e con essa la sua miseria e la sua grandezza.
Ermes Esposito, intellettuale e poeta