giovedì 28 maggio 2015

wayward pines



wayward pines  Una serie in stile Twin Peaks che nasce da una trilogia di uno scrittore che non conosco ispirato dalla famosa serie televisiva di David Lynch.
Che dire ... Matt Dillon è il protagonista un agente dei servizi segreti alla ricerca di due suoi colleghi scomparsi nel nulla, si ritrova malconcio in un non ospedale della ridente (poco) cittadina di Wayward pines, e fin qui la vicenda della quale ho visto due puntatone.
Non so se vi è capitato nella vostra vita di vedere Il prigioniero del quale ho forse parlato in almeno un mio romanzo. E' una serie tv anni 60 che io associo sempre alla mozzarella in carrozza che mia madre preparava la domenica sera.
Mi piaceva il prigioniero era un fantapolitico intrigante e io ero un bambino affascinato da storie di oppressione e mancanza della libertà.
Questo prigioniero si ritrovava in uno strano villaggio, a suo modo simile a quello di Wayward pines e non c'era verso di riuscire a scappare, quando ci provava appariva una specie di enorme palla bianca che lo rincorreva fino a catturarlo.
Erano gli anni 60, molto prima di the Truman show capolavoro che ha consacrato Jim Carrey e anche lì si parlava di una cittadina fittizia dove il nostro amico è l'unico protagonista di una specie di grande fratello costruito su misura per lui.
Ebbene Wayward pines mi ha sollecitato questi due riferimenti, e Matt Dillon, splendido cinquantenne, mi piaceva di più in Rumble fish capolavoro minore di Coppola dove interpretava il teppista buono ma confuso fratello minore di un magistrale Mickey Rourke, altro film sul rapporto fra libertà e oppressione, bello, la musica e la fotografia in bianco e nero.
Perché ho parlato d'altro?
Perché le prime due puntate di questo prodotto lanciato a livello globale non mi sono piaciute.
Temo un altro Lost, temo la solita sceneggiatura che non para da nessuna parte creando un'aspettativa nello spettatore per poi sgonfiarsi in qualche soluzione sicuramente poco originale o peggio indefinita e indefinibile.
Per uno come me che inventa storie, ormai è facile intuire quando dietro una vicenda non c'è nulla di davvero innovativo, ma solo carta patinata e cast milionari.
C'è anche la  pseudo infermiera che sembra uscita da American Horror Story che fa scappare da ridere, e tutta una serie di personaggi inconsistenti interpretati da big hollywoodiani, la serie non decolla ancora, nonostante uno sgozzamento e un tentativo di alzare la tensione, non mi prende, non mi incuriosisce, e mi rendo sempre più conto che anche in America sono le teste pensanti che producono i prodotti più innovativi da six feet under a Breaking bad.
Serie che rimangono nello stomaco e nella testa perché sono storie scritte bene, con professionalità e coraggio e non i soliti prodotti belli fuori e vuoti dentro.

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