martedì 9 dicembre 2014

Lucy




Lucy ovvero: quanto siamo evoluti noi esseri umani a livello celebrale?
Guardate un bambino, un adolescente, se ne avete uno in casa l'osservazione è abbastanza immediata e frustrante, questi nuovi esseri che ci circondano e si occuperanno delle nostre catarratte e prostate, sono apparentemente incollati ai loro smartphone, tablet, pc, console varie, digitano veloci sulle tastiere, inviano messaggi che sono  segni spesso, sbuffi trascritti di pensieri, abbreviano, sintetizzano, riassumono e intanto studiano, si informano, si intossicano.
Questa velocità di esecuzione solo dieci anni fa era impensabile e non è solo il progresso, è la velocità di trasmissione, la condivisione, e al di là della leggenda diffusa da più parti che noi sfruttiamo una piccola percentuale del nostro cervello, secondo me è vero che il nostro cervello come tutto ciò che ci circonda potrebbe ancora evolversi come ha fatto da quando siamo presenti sul pianeta.
Il tema sviluppato in questo film di Luc Besson che amo come regista da sempre, è proprio questo, lo sfruttamento totale delle potenzialità celebrali dell'uomo.
Il film è metaforico spettacolare, delirante e allucinogeno, c'è la sensuale Scarlett Johansson, molto sensuale, e il vecchio ma sempre interessante Morgan Freeman.
Non so se il nostro cervello è sfruttato solo in minima parte, ma penso che i nostri giovani potrebbero fare cose incredibili se utilizzassero le loro capacità nello studio e nell'apprendimento con la stessa drogastica passione con la quale stanno attaccati ai loro telefonini.
Non è una considerazione moralistica da vecchio rincoglionito, perché anch'io sono con il mio smartphone sempre accanto a sopportare il mondo che mi entra da tutte le parti, ma non ho più lauree da conseguire o progetti da tracciare se non vivere al meglio e al massimo scrivere storie.
Un giovane invece cosa potrebbe assorbire, imparare, sintetizzare se utilizzasse la rete non per organizzarsi la partita a calcetto e la serata in discoteca, ma anche e soprattutto per apprendere e poi divulgare?
E forse il senso della favola di Besson è tutto qui.

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