giovedì 30 gennaio 2020

Sekiro: Shadows die twice




Ci sono giochi che forse non tutti possono fare, o meglio io non credo di essere all'altezza, ma nonostante la mia imperizia li amo da impazzire, anzi forse di più, perché hanno dei meccanismi interni semplici e micidiali, hanno i boss, creature quasi invincibili che ti portano via il tempo delle cose importanti, lasciandoti sudato, frustrato, con la pressione a rischio e nello stesso tempo ti riempiono di gioia nel momento della vittoria.
Solo chi ha giocato Sekiro e Dark Souls può capire, il guaio è che qualsiasi altro gioco, anche di ruolo, svanisce sullo sfondo diventando una passeggiata.
In Sekiro non avanzi se non superi l'ostacolo e  il gioco sta mettendo alla prova la mia ostinata pazienza.

A cosa serve il gioco?
Personalmente mi distrae dalla vita, quella fatta di impegni che non mi sono scelto, dal lavoro che dopo 38 anni comincia a starmi stretto, dalle commissioni, dalle fatiche, mi mantiene giovane, quasi in un'altra dimensione, come la scrittura mi fa sperimentare una sorta di invulnerabilità, devo finire il mio gioco, devo terminare il mio romanzo, con una tensione che mi spinge a trovare nuove energie, un entusiasmo che non mi abbandona.

Se qualcuno vuole venire a fare secco il maledetto toro infuocato al mio posto, me lo dica, io sono morto già decine di volte senza riuscirci, lo so sono vecchio, ma non mi arrendo.
Quando cominci a mollare, quando non hai più voglia di giocare, allora cominciano i guai, quelli veri.

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