domenica 5 ottobre 2014

a sangue freddo



Nella splendida cornice siciliana ho letto dal mio Kobo preferito A sangue freddo di Truman Capote scrittore controverso che condusse una vita al limite e morì prematuramente e molto male nel 1984 a sessant'anni.
  Malinconie a parte questo romanzo per me è stato fulminante e doloroso come solo la realtà riesce ad essere quando è descritta con precisione oggettiva unita ad una analisi e ricostruzione dei personaggi magistrale.
La storia del romanzo è la storia di cronaca che colpì l'opinione pubblica americana alla fine degli anni 50, esattamente nel novembre del 1959, mio mese di nascita fra le altre cose.
Due giovani uomini massacrarono una facoltosa famiglia americana nella loro casa, e non svelo nulla perché è dalla vicenda che Capote parte entrandoci dentro con una profondità mai sperimentata prima.
Allora fu accusato di voyeurismo e se penso alla cronaca nera oggi mi scappa da ridere.
Capote in realtà è bravissimo a raccontare i singoli personaggi facendoci entrare in contatto con loro e soprattutto con le vittime avvicinandosi a loro con delicatezza e sensibilità. Ci mostra  i due criminali  da tutte le possibili angolazioni senza intenti colpevolisti o innocentisti, non c'è retorica nel racconto, ma la storia nerissima di un'America contadina e benestante con le sue idee e le sue tradizioni e un'altra America di desperados senza coscienza, morale o umana pietà, e in mezzo i poliziotti che per molto tempo si affannarono con passione per scoprire la verità.
E la verità ancora una volta è una sola.
Ci sono crimini senza  motivo logico, o spiegazione possibile, ci sono crudeltà che solo l'essere umano riesce a mettere in atto, e i criminali psicotici o no sono sempre uguali nel tempo e nello spazio. Poca differenza c'è fra due sconosciuti che decidono di scannarti in casa tua, o un figlio che uccide i genitori a padellate, o una figlia che uccide il fratellino affogandolo nella vasca da bagno.
Alla base c'è l'insensatezza della violenza spesso fine a sé stessa, una esplosione di odio nei confronti del mondo e degli altri e sono convinto che la società si debba difendere da tale odio nell'unico modo possibile, impedendo ai criminali di vivere di nuovo in un contesto sociale.
Uno dei tanti cittadini  ai quali un giornalista chiese quale poteva essere la giusta condanna per i due assassini  rispose che la migliore condanna era costringerli a vivere insieme rinchiusi a vita in una cella.
La condanna deve esistere, deve essere definitiva e risolutiva, e non come spesso capita ridursi a pochi anni di carcere per poi accedere a una riabilitazione, ma questa è e rimane la mia personale e granitica idea di giustizia, almeno in reati efferati come quello del romanzo.
Consigliatissimo a chi ha lo stomaco di fare i conti con la realtà della cronaca più nera.

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