lunedì 29 febbraio 2016

birdman



Io l'oscar l'avrei sicuramente dato a Michael Keaton perché lui è il film, lui, e il personaggio che impersona, e mi è piaciuto soprattutto perché non è solo un personaggio, ma  il simbolo di una generazione,  il prodotto di un mercato dello spettacolo, ma  anche un uomo non più giovane, un attore in crisi, un padre scadente, un marito fallito, insomma incarna diversi personaggi tutti maschili e alcuni affini al mio sentire.
In questo film c'è l'amore per il teatro, ci sono frammenti di Carver scrittore minimalista che io ho letto e che amo, ma c'è anche l'idea di comparare la civiltà della comunicazione nevrotica, della condivisione virtuale, di facebook, dei mi piace, dei video su you tube alla civiltà della cultura, del teatro, della scrittura breve, del dramma esistenziale, dell'impossibilità di amare che tanto bene emerge nei racconti di Carver.
La trama è ininfluente, meravigliosa è l'illusione del volo, la magia delle immagini, con questi primi piani impietosi sul viso quasi in disfacimento di Keaton, ci sono i suoi deliri, i dialoghi con il suo alter ego ed è geniale utilizzare uno come lui che nella sua carriera è riuscito davvero a impersonare un super eroe.
Ci sono altri mostri sacri del cinema contemporaneo da Edward Norton che  se ne esce con una battuta che non potrò non usare in uno dei miei scritti, quando dice alla figlia del protagonista, Emma Stone, che le vorrebbe togliere gli occhi per farli suoi e con quelli guardare il mondo.
Ma c'è soprattutto la magia e la contrapposizione del mondo della comunicazione, verbale, del travaglio interiore e del minimalismo esistenziale in collisione con la non comunicazione attuale, dove sei una celebrità al massimo non un attore, sei il numero di clic del mouse che totalizzi non la qualità del tuo essere creativo e anch'io mi perdo nel volo del protagonista, e con lui desidero scomparire in un volo di uccelli metropolitani, lontano, sopra le contraddizioni del nostro vivere.

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