L'ho visto a pezzi per motivi temporali e psicologici. Il film è cupo e buio come il libro, apparentemente senza speranze. Grandi i due protagonisti padre e figlio, pregevole la partecipazione straordinaria del mitico Robert Duvall quasi irriconoscibile nei panni di un vecchio. Se non avete letto il libro ve lo consiglio, mi piace McCarthy scrive come mi piacerebbe scrivere, asciutto essenziale, spietato.
Mi piace anche l'idea del film, il rapporto unico, viscerale, totale, di amore fra un padre e un figlio che va oltre la morte, rimane come essenza della nostra umanità perduta.
Non so cosa meditava McCarthy quando ha immaginato The Road, forse aveva mangiato qualcosa di pesante, ma guardando ai fatti mondiali e mediterranei che coinvolgono tutti noi l'idea di un mondo che va in frantumi mi passa almeno per qualche istante per la testa.
Tutti a dire che è inutile e ridicolo creare allarmismi, sono d'accordo, poi penso che se io fossi uno dei tecnici contaminato nella centrale giapponese magari avrei una percezione diversa.
Tutti a parlare di solidarietà e accoglienza in questi giorni, d'accordo, poi mi metto nei panni di un abitante di Lampedusa e comincio a riconsiderare concetti tanto buonisti quanto ipocriti soprattutto quando in ballo c'è il mio spazio vitale, la mia unica fonte di sostentamento.
E' tutto relativo non credete?
Rimane facile fare pronostici sulla sorte del pianeta, lui ci sarà dopo di noi, mentre l'uomo riuscirà a trovare il modo di togliere il disturbo prima del suo termine naturale, ma questo è un problema che io non dovrò affrontare quindi... pace.
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