mercoledì 6 aprile 2016

Una lettera da Pupi Avati




Esco di casa in fretta per andare al lavoro, mi aspettano circa quindici chilometri di campi fra fagiani grassi e nutrie occasionali, è caldo per essere il 6 aprile 2016, nella cassetta della posta fra le altre missive una lettera, dietro il mittente ... Pupi Avati.
Si scusa per il ritardo della risposta e si complimenta per il romanzo, Cielo d'agosto, sicuramente non uno dei miei romanzi più fortunati.
Ci sono alcuni momenti nei quali mi chiedo ancora perché scrivere.
Una lettera come la sua, breve, immagino sincera, (anche perché quale motivo poteva avere di scrivermela altrimenti), essenziale, mi fa pensare che forse un senso c'è nel mio scrivere.
Ho spedito i miei libri in momenti diversi a emiliani/romagnoli illustri che pensavo potessero essere vicini al mio modo di interpretare la nostra terra, nessuno ha mai risposto e non avevo mai nemmeno preso in considerazione tale possibilità.
Anch'io faccio fatica a leggere tutto ciò che in un modo o nell'altro mi arriva, figurarsi un regista, eppure lui ha trovato il tempo di scrivermi e probabilmente di leggermi, e si è anche scusato.
Un simile comportamento, una simile eleganza, quasi mi commuove e mi porta a due considerazioni:
Gli spedirò i miei ultimi due scritti, chissà magari troverà il tempo di leggerli.
Per chi scrive la seconda considerazione, non aspettate mai che la montagna venga a voi, provate voi ad andare da lei e magari inaspettatamente cambierà il senso di una giornata fino a darvi una nuova spinta motivazionale, provare per credere.

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